mercoledì 13 novembre 2019

RITORNO ALLE GARE: FASE 1 – PREPARAZIONE


Dopo molti anni di inattività, ho deciso di tornare alle gare cambiando sport e disciplina. Il richiamo dello sport e la voglia di mettermi alla prova ha guidato questa mia scelta.
Ho pensato a lungo alle ripercussioni di una scelta che è destinata a cambiare la mia vita privata e professionale. Mi sono posto molte domande e ho cercato di darmi delle risposte.  Risposte che attraverso questo blog ho deciso di condividere con voi. Devo ammettere che pur avendo molta fiducia nei media partner che mi affiancano in questo nuovo progetto, sono stato molto colpito dall’attenzione che la stampa ha dedicato al mio ritorno.
80 articoli in 2 mesi sono molti. Ma parleremo di questo più avanti. Ora voglio raccontarvi le sfide che dovrò affrontare per il mio ritorno.



AREA ATLETICA
La prima cosa alla quale ho pensato quando ho preso in considerazione di passare alla MTB è questa: il giavellotto è una disciplina esplosiva, la MTB di resistenza. Come far coincidere in queste differenze il mio piano atletico?
Credo che sia stata la cosa a cui abbia affidato la maggior parte dei miei pensieri negli scorsi mesi. Il mio corpo è naturalmente portato alle discipline esplosive.  La mountain bike, il cross country o l’enduro si basano su gare che durano ore, spesso in condizioni estreme. Il contrario di quello a cui ero abituato, con uno sforzo assoluto in una durata di pochi secondi.
Quando mi sono ritirato avevo 32 anni. Ora rientro alle gare a 42, quasi 43 anni. Apparentemente questo può sembrare un limite, ma in realtà credo che possa essere un’opportunità.

La maturità con la quale mi sto approcciando al ciclismo è molto più metodica rispetto alla prima parte di carriera sportiva. Non solo, a 42 anni, l’abitudine ad ascoltare il proprio corpo, in una fase di cambiamento come quella attuale, è molto più sottile. Precisa.
È successo molto spesso che uomini e donne, intorno ai 40 anni, magari dopo anni di vita sedentaria, abbiano iniziato a fare sport aerobici, come ad esempio la corsa. Le gare podistiche e i nostri parchi sono pieni di amatori che hanno iniziato a correre alla mia età. Succede qualcosa che è difficilmente spiegabile, per cui ad un certo punto il corpo ha bisogno di cercare un nuovo equilibrio.
È un processo che in qualche modo sto cercando di governare dal punto di vista fisico, atletico e psicologico. Si cercano delle “fisse”, cercando di escludere (o diminuire) le “variabili”.
Io per fare questo ho dovuto fare una scelta: dimenticare la mia prima vita da atleta per mettermi in gioco con qualcosa di totalmente nuovo.
È un ossimoro. Molto del clamore che ha accompagnato il mio rientro e le strategie di marketing fanno leva sul mio passato e le mie vittorie, mentre io, ogni volta che salgo in sella devo cancellare i miei ricordi e concentrarmi su parametri nuovi. A partire dalle sensazioni e i segnali che il fisico trasmette durante e dopo gli allenamenti.

Gamba, sella e rapporto peso-potenza.
La prima parte della mia preparazione fisica si basa su tre fattori molto semplici.
La prima cosa che si sente quando si inizia ad andare su una bici è un forte dolore alle terga (per usare un linguaggio non scurrile). Prima di abituarsi a quel dolore e alla posizione in sella ci vogliono centinaia di chilometri. Questo processo viene definito nel mondo del ciclismo in questo modo: “fare la sella”.
In realtà non c’è molto da fare. Devi andare in bici anche se fa male, tenere duro e aspettare che il corpo si abitui. A causa del dolore si cerca istintivamente di “muoversi” sulla sella, in modo da diffondere in modo diverso la pressione del proprio peso sulla stessa. Questo fattore ha delle forti ricadute sulla meccanica di pedalata. In altre parole, è difficile pedalare bene fino a quando non si riesce a stare seduto correttamente sulla bici. Per me che non sono un peso piuma ci vorrà un po’ di tempo in più. Poco da lamentarsi… pedalare e abituarsi in silenzio. Possibilmente il più in fretta possibile.

Un altro fattore riguarda la pedalata e le gambe. Oltre a “fare la sella”, bisogna “fare la gamba”. Un altro gergo popolare tra i ciclisti. Bisogna abituare le gambe a pedalare, a “girare” bene. Soprattutto all’inizio non si cerca la velocità o la scalata di grandi pendii, al contrario si lavora per cercare una pedalata agile e rotonda. Anche questa fase deve durare qualche centinaio di chilometri.
Ecco, io attualmente sono lì!
Quello che ho compreso, è che sulla bici si soffre (in silenzio) e bisogna avere pazienza. Devi mettere da parte la fretta e lavorare per abituarsi alla fatica e alla facilità della pedalata.

Personalmente seguo una tabella che in modo graduale mi abitua alla percorrenza di distanze sempre più lunghe, utilizzando percorsi “fissi”, con punti di riferimento che mi aiutano a controllare in tempo reale i miei stadi di avanzamento, i progressi e i momenti di crisi. In questa fase quindi mi preoccupo di far girare le gambe, per un numero di chilometri crescente, alla ricerca della facilità di pedalata, della crescita della resistenza e dell’abitudine alla fatica e al dolore.
Sebbene a volte mi renda conto di essere avanti – in relazione ad alcuni parametri – rispetto alla tabella di marcia, sto cercando di seguirla scrupolosamente e fare quello che devo nei tempi corretti. Senza bruciare le tappe, con l’obiettivo principale di costruire bene la mia base atletica e tecnica.

Un altro parametro essenziale, che è al centro di molti allenamenti e calcoli, è il mio rapporto peso-potenza. Con il mio metro e novantuno e la mia struttura muscolare ero perfetto per il lancio del giavellotto, ma risulto essere “troppo strutturato” per fare il ciclista. Dal punto di vista aerodinamico sono ingombrante e il mio peso incide soprattutto in salita.
Tuttavia, il mio peso sta calando in modo costante, il mio corpo sta perdendo massa e aumentando in definizione e contemporaneamente il mio motore (cioè le mie gambe) stanno acquisendo sempre maggiore potenza e resistenza allo sforzo prolungato. Non sarò mai un perfetto scalatore, ma nel cross country non ci sono solo le salite. Anzi, ci sono molte discese e tratti tecnici. Il mo compito consiste nell’ottimizzare il mio rapporto peso-potenza per diminuire il gap con gli atleti più piccoli e agili, e contemporaneamente avvantaggiarmi della mia struttura durante le fasi di discesa, quelle tecniche e di potenza. Cosa ancora più a mio favore nel downhill.
In questa prima fase sto lavorando su questo fattore in modo lineare, e i risultati sono già evidenti sui tempi di percorrenza nei circuiti sui quali mi sto allenando.

In una fase successiva, che ho già pianificato, mi occuperò anche della fase tecnica e di guida con maestri specializzati. Ho giò provato alcuni trail e devo dire che sono naturalmente portato alla guida e al superamento degli ostacoli. Ma per il momento devo pensare a lavorare sulla gamba, sul rapporto peso-potenza e ahimè… sulla sella.


AREA PSICOLOGICA
Dal punto di vista psicologico, quello su cui sto lavorando molto è il mio rapporto con la fatica e il superamento delle crisi, che inevitabilmente si fanno sentire quando porti il tuo corpo al limite. Il momento di crisi è qualcosa di fisiologico che colpisce chiunque faccia uno sport di resistenza. Lo si vede molto bene durante le maratone, ad un certo punto l’atleta perde freschezza fisica e lucidità. Per quanto riguarda la parte fisica, si cerca di anticiparla con l’utilizzo di integratori, ma da atleta vi posso dire che bisogna tenere duro, continuare ad andare e aspettare che passi. Una volta passata, in linea di massima, il “dopo” diventa più semplice.
Il problema però è il “durante”.
Durante la crisi il corpo e la mente “si imballano” e puoi fare solo due cose: fermarti o andare avanti. La prima non è un’opzione. La seconda è l’unica cosa che conta.
Un approccio psicologico positivo aiuta, ma a volte la crisi è un po’ più lunga di quanto ti aspetti, e devi imparare a essere incrollabile. A soffrire. Devi creare la consapevolezza del “passaggio”, del fatto che se tieni duro prima o poi passerà. L’approccio psicologico è tutto. Soprattutto quando durante la crisi vedi gli altri che sono freschi in quel momento e ti distaccano con facilità. Mai commettere l’errore di provare a bruciarti per seguirli. Bisogna ascoltarsi, capire qual è ritmo del proprio organismo e andare avanti con quello. Ci sarà tempo per rimediare. Magari quando in crisi ci saranno gli altri e noi l’avremo già superata.
Discorso a parte per l’approccio psicologico durante il calo di lucidità che è collegato alla crisi. Ma questo è un discorso lungo, che merita un articolo a parte. Soprattutto se si pensa a quanta lucidità sia necessaria nell’affrontare ostacoli, salti e situazioni di guida estreme e molto rapide in discesa.


RAPPORTI CON I MEDIA, I PARTNER E GLI SPONSOR
Il mio rientro allo sport professionistico è supportato da un piano di marketing professionale. Negli ultimi 2 mesi sono accadute molte cose e il piano comunicativo che è stato maggiormente utilizzato è stato quello della stampa e delle Relazioni Pubbliche. Sono più di 80 gli articoli che sono stati pubblicati sulla stampa generalista e di settore. Un’attenzione che mi ha molto colpito e che è stata ben convogliata da Cosmos Media Italia, l’ufficio stampa che ha gestito le attività media. Migliaia le visualizzazioni e interazioni sui social media.
Ho deciso di affidare il mio attuale management all’associazione Factory Performance di Torino, con la quale collaboro da molti anni su altri progetti.
Una delle ragioni che mi ha spinto a strutturare un progetto di marketing integrato che mi supportasse in questa mia nuova avventura è stata quella di dare visibilità a due campagne sociali a cui tengo molto. La prima è la Campagna di farmacovigilanza Giù le Mani dai Bambini ONLUS, alla quale avevo aderito già nella mia prima parte di carriera sportiva. La seconda realtà sociale alla quale voglio dare lustro è la Campagna Globale di Sensibilizzazione sull’Inquinamento luminoso MISSION DARK SKY, che ho fondato lo scorso mese di maggio sotto l’egida di COSMOBSERVER.
Volevo ottimizzare la popolarità che ho raggiunto come divulgatore scientifico per portare attenzione a tematiche che per me sono molto importanti.
In più, in temini di marketing e comunicazione, l’idea “dell’uomo di scienza che fa gli sport estremi”, ha un buon potenziale che potrebbe avere un certo appeal con i potenziali sponsor, con i quali sto entrando in contatto in questo periodo, in vista del mio debutto.
Ovviamente, ritengo sia considerevole anche l’apporto in termini di CSR che le due campagne daranno al sottoscritto e ai partner / sponsor coinvolti nel progetto.
Dal punto di vista della gestione mediatica, tutti gli step sono stati programmati per i prossimi mesi, e anche la volontà di condividere con il pubblico articoli come questo, vuole ampliare la platea rendendola partecipe e co-protagonista di un percorso umano e atletico che avrà una sua evoluzione. 



UN RIENTRO COMPLESSO, UNA SFIDA
Come si può evincere da questo post, il mio rientro nello sport rappresenta qualcosa di molto complesso, perché tocca molti piani umani e professionali. Una delle cose a cui ho pensato a lungo durante la pausa di riflessione che mi sono ritagliato prima della decisione, era la necessità di creare un gruppo di lavoro.
Non sarebbe bastato acquistare una bella bicicletta e salirci sopra. Attualmente il mio staff è composto da grafici, project manager creativi, addetti stampa, esperti in relazioni pubbliche. Sembrerebbe già molto, eppure non basta.
Terminata la fase attuale, entreranno in campo medici, nutrizionisti, allenatori, tecnici e istruttori.
Credo che non ci saranno meno di una decina di persone che saranno impegnate nel successo del progetto EM314.
Una responsabilità che sapevo mi sarei dovuto assumere tornando alle gare. Tornando a essere me stesso.
In tutti i casi, mai come in questo caso, dovrò ricordare il motto al quale mi sono affidato in molti momenti della mia vita professionale: “AMAT VICTORIA CURAM” (la vittoria ama la preparazione nda).

Emmanuele Macaluso – EM314