mercoledì 11 marzo 2020

EM314 - Issue # 3 - ESSERE ATLETA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS


(Tempo di lettura: 2 minuti)


“Vivi oggi. Combatti domani”Cit. dal film “La mummia”, regia di Stephen Sommers (1999)

La citazione sicuramente non rientra tra le più colte. Tuttavia, quando ho letto il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, come tutti, ho dovuto scegliere cosa fare del mio tempo da dedicare all’attività sportiva e al progetto EM314.

Preciso che non è in alcun modo mio intendimento, al contrario di molti sedicenti inflencer/testimonial (non incaricati da alcuno), dare indicazioni circa i comportamenti da tenere in queste settimane. Il decreto “tocca” l’ambito sportivo in modo chiaro, e quindi non c’è bisogno di aggiungere altro. Mi perdonerai se non mi “innalzerò” al rango di fine esegeta del foro… qual non sono.
Ricordo a me stesso, e al gentile lettore, che questo blog non è altro che un “diario di viaggio” che racconta il ritorno di un soggetto comune nel mondo dello sport dopo anni di inattività. Una condizione che mi accomuna a molte altre persone che vorrebbero avere qualche ambizione in più rispetto al giro in bici la domenica mattina. In più, il web continua ad essere un posto democratico – per alcuni troppo – e quindi confido nella bontà di coloro che hanno piacere di leggere le impressioni e le sensazioni di “uno di loro”.
Guardando i dati di lettura di questo blog, a quanto pare sono molti, e li ringrazio.

Intanto inizio con lo scrivere che non ho scelto di stare a casa. Credo che non si debba scegliere di seguire un’indicazione delle autorità competenti. L’ordinamento  giuridico è alla base di un sistema sociale civile. A quanto pare lo saremmo ancora. Quindi, stare a casa e non uscire ad allenarmi lo vedo come un mio preciso dovere civile.

Nelle prossime settimane dovrò comunque allenarmi, anche se non sarà lo stesso. Si lavorerà soprattutto sul potenziamento muscolare in casa. Anche se onestamente non so se si tratterà di potenziamento o mantenimento. Ci sarà tempo per fare le valutazioni alla ripresa delle normali sessioni di allenamento. Lavorerò anche sull’alimentazione per cercare di perdere ancora peso, continuando a valorizzare il mio rapporto peso-potenza.

Al di là del decreto, nelle ore antecedenti la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, mi stavo già ponendo alcune domande che meritano qualche riflessione che desidero condividere.

Ho poco più di 40 anni e sono un soggetto tendenzialmente sano che fa sport. Apparentemente non dovrei temere per le conseguenze di un potenziale contagio. Guardando le statistiche, probabilmente “mi farei” l’influenza e arriverei alla conseguente guarigione.
In realtà questo non è detto, e non ho gli strumenti per fare SERIAMENTE una valutazione di questo tipo. Infatti, soprattutto sotto sforzo, le difese immunitarie si abbassano ed è difficile comprendere la reale capacità di penetrazione del virus nell’organismo.

Negli scorsi giorni sono arrivate indicazioni discordanti, che hanno visto addirittura virologi “litigare” tra loro. Ovviamente, con grande responsabilità civile, non attraverso un confronto scientifico privato ma a mezzo stampa. Tutto questo con ripercussioni discutibili sulla credibilità, ma con grande piacere dell’ego. Buon per loro.
Siamo passati dal “è poco più di un raffreddore” al “letale”. Con una forbice intermedia alquanto ampia. Riempita da una serie di teorie discutibili che ci sono state regalate da un’ampia offerta mediatica. La preferita di molti è stata quella che ci ha offerto la nostra TV di stato che ha dato la parola all’astrologo. Si, ho scritto proprio “astrologo”. E poco importa che lo stesso non abbia letto nelle stelle - in anticipo - l’arrivo di questo momento così problematico. E meno ancora importa che la suddetta venga pagata dal canone coatto nella bolletta della luce. In fondo è servizio pubblico. Notevole.

Non prendo in considerazione le info sui social. Umberto Eco aveva ragione. Piovono conferme a quasi ogni post.

Fatto sta, che nelle ore precedenti l’emanazione del decreto qualche domanda me la sono fatta e devo ammettere che non sono riuscito a darmi una risposta. L’innalzamento del livello a “zona rossa” per tutta l’Italia mi ha dato un’indicazione, ma ancora oggi non riesco a comprendere la reale gravità della situazione e la ricadute potenziali sulla mia salute e la pianificazione del mio lavoro. Anche in questo, credo di non essere l’unico.

Nelle scorse ore ho sentito anche dei medici, e forse in un mondo dove l’effetto Dunning-Kruger ha ormai raggiunto i livelli che forse dovrebbe avere l’istruzione, sono stati gli unici ad aver sostanzialmente ammesso di non saperne ancora molto e quindi di avere un atteggiamento prudente. Anzi, il “più possibile prudente”.
Si va dal “La situazione è in evoluzione e aspettiamo i dati”, a “La situazione è grave ma non drammatica” fino a “E’ presto per dirlo, ci sono studi che direbbero..”.

Non sono una persona particolarmente ansiosa, ma non nascondo il fatto che mi senta un po’ confuso. Quindi avrò un atteggiamento prudente. Anzi, il “più possibile prudente”.
Tipico di chi non ha risposte. Senza provare invidia per tutti coloro che hanno certezze granitiche.

Al di là delle questioni strettamente legate al virus, ritengo che non allenarsi per strada possa intanto annullare la possibilità di cadute e infortuni, lasciando gli ospedali e il personale medico libero da incombenze che si potevano evitare. Credo che anche questo sia un dovere civile.

Un piccolo inciso sulla questione ospedali. Nelle scorse ore ho ricevuto un messaggio audio. Una voce femminile, parlava di una situazione limite negli ospedali, con rianimazioni piene, nelle quali i medici si troverebbero nelle condizioni di “scegliere” chi far vivere o morire. Ovviamente la voce in questione parlava dando per scontato che tutti la conoscessimo. Senza qualificarsi.
Ecco, queste sono le uniche cose sulle quali non sono confuso in questo momento. Non le prendo in considerazione e spero che le autorità possano mettere queste “voci” di fronte alle proprie responsabilità giudiziarie. Il nostro Paese in fondo, continua a essere il Paese del “me lo ha detto ammio (con la “a” e tutto attaccato) cuggino (con due “g”)”.

Nelle prossime settimane quindi mi allenerò in casa. Da solo. Cercherò in modo disciplinato di non arretrare nella preparazione.
Contemporaneamente rimodulerò con il mio staff le attività di comunicazione del progetto EM314 dei prossimi mesi.
Discorso a parte per la preparazione tecnica, dove dovrò ripianificare i corsi di guida e gli allenamenti “di gruppo” e sui trail.
In tutti i casi, almeno fino al 3 aprile, la mia Ipazia resterà a riposo nel box.

In altre parole, cercherò di vivere oggi per combattere domani. Come molti di voi.
A presto. Spero…


Emmanuele Macaluso – EM314… Uno di voi!


PS: La foto è stata scattata nel mese di ottobre 2019

giovedì 5 marzo 2020

EM314: CONTINUA LA PREPARAZIONE – INFORTUNI E RESILIENZA


“Solo chi non fa niente non si fa mai male”Carlo Lievore
(Campione e primatista del mondo nel lancio del giavellotto. Mio allenatore ai tempi della mia carriera da giavellotista. Mentore e amico sempre presente nel mio cuore ora che non è più su questa Terra).

AREA ATLETICA
Tra infortuni e miglioramenti, si continua a crescere. Credo sia questa la sintesi migliore che si possa fare adesso in relazione alla mia preparazione al rientro all’attività agonistica.

Quando per 10 anni hai un’attività fisica dilettantistica, il fisico si adegua ad uno standard atletico “più rilassato”. Sebbene in modo controllato, il rientro ad un’attività fisica più importante sul piano dell’intensità e della costanza porta ad inevitabili e fastidiosi infortuni.

Quando a novembre, a poche settimane dall’inizio della preparazione, sono caduto e mi sono ritrovato sotto la mia bicicletta impattando violentemente con il lato sinistro del corpo, ho avuto l’impressione che i veri infortuni me li sarei procurati così. Spalla sinistra e ginocchio hanno cominciato a gonfiarsi e il dolore non mi permetteva di pedalare o semplicemente impugnare il manubrio.
La prima cosa che un atleta non vuole sentirsi dire è di “restare a riposo”. L’attività fisica ne richiede altra per avere giovamento dal punto di vista atletico e psicologico.
Nel mio caso poi, cominciavo a vedere i primi margini di miglioramento dopo le prime uscite in bicicletta. La sella cominciava a fare meno male e i chilometri iniziavano a scorrere sotto la mia MTB in modo un po’ meno pesante.
Nulla da fare. Tutto da buttare. Si sta fermi e si ricomincia tutto da capo.

La mia prima parte di carriera mi ha insegnato che non bisogna mai andare contro il parere medico. Soprattutto quelli sportivi. Rispetto a “quelli normali”, loro sono già abituati a metterti in condizione di correre nel minor tempo possibile. Inutile forzare, soprattutto a 42 anni.

Nelle lunghe giornate in attesa di tornare in sella, mentre anche la mia bici - la mitica “Ipazia” - era in officina a farsi dare un’occhiata dopo il volo, ho pensato a quella caduta come ad un segno. Una sorta di benvenuto nel mondo del ciclismo che onestamente non ho gradito.
L’atleta è anche un po’ superstizioso, ma la mia vicinanza al mondo scientifico mi ha aiutato a razionalizzare. Tuttavia, mi sono reso conto che cadere e farsi male è davvero facile. In quel momento pensavo che la maggior parte dei miei infortuni arrivassero dalle cadute. Mi sbagliavo.

Gli infortuni successivi sarebbero arrivati dalla distonia tra la mente e il corpo. Il corpo manda segnali al cervello per chiedergli di “rallentare” la preparazione. Il corpo infatti ha tempi più lenti rispetto al cervello. Un fattore del tutto normale.
Il neofita che prende in mano una chitarra vorrebbe essere Jimi Hendrix, ma deve abituare le dita facendo interminabili scale pentatoniche sulla tastiera.
Quando sali in sella la prima volta vuoi solo andare veloce, andare subito in gara. Fino a quando il sedere non comincia a darti un dolore enorme, ti trovi ad avanzare a fatica a  bocca spalancata per respirare dopo pochi chilometri e le gambe bruciano come se qualcuno te le bruciasse con un cannello.
Se poi hai una carriera atletica vincente alle spalle, le performance le pretendi. Ti spettano di diritto. In fondo sei stato un campione.
Poi ti ricordi che dietro i sorrisi sul podio, le interviste e i servizi fotografici per gli sponsor  c’erano tonnellate di metallo sollevate e migliaia di lanci di allenamento. Allora capisci che è meglio continuare a pedalare. Possibilmente in silenzio, perché il fiato serve. Eccome.

Quello su cui sto lavorando in questi mesi è l’allineamento tra mente e corpo. Niente di filosofico. Tutto di razionale.
Lavoro sull’efficienza della pedalata, la resistenza e sul rapporto peso potenza in modo da migliorare atleticamente e sulla performance. Ho due percorsi di allenamento, con riferimenti cronometrici. Potrà sembrare noioso dover pedalare sempre negli stessi luoghi, ma i benefici sono enormi, perchè oltre alla necessità di avere dati non variabili, in termini psicologici hai l’esatta percezione del miglioramento. Arrivi in un determinato punto con sensazioni migliori rispetto ai giri precedenti. Affronti la salita in modo più efficiente e con un rapporto più duro rispetto a 5 giorni prima. Assumi gli integratori negli stessi punti.
Il ciclista fa questo: pedala e acquisisce dati.
Poi avviene una differenza che suddivide il ciclista in due categorie. C’è quello che nutre il suo ego e condivide su Instagram la schermata di Strava, e quello che invece manda i dati al proprio staff e ai consulenti per capire dove si può migliorare.
Io appartengo alla seconda categoria. Anche perché non capisco come possa interessare il mio giro in bici agli altri.

Nonostante questo gli infortuni arrivano, insieme alla necessità di fermarsi. Succede perché ti spingi sempre al limite di quel delicato rapporto tra mente e corpo. Tutto al solo scopo di abituarsi il più in fretta possibile al miglioramento.

Il mio tallone d’Achille a quanto pare non è il tallone, ma il ginocchio sinistro. Ha una certa propensione all’infiammazione dopo una quarantina di chilometri fatti con un certo brio. Evito l’imprecazione, ma fa rabbia e soprattutto fa perdere tempo prezioso.

Una delle ragioni per cui mi fa male il ginocchio sinistro è che provengo da discipline asimmetriche. Prima il giavellotto e poi il golf. La gamba sinistra per me “è quella forte”, e a quanto pare la utilizzo più della destra quando pedalo. Questo affatica articolazione,  tendini, legamenti e la muscolatura.
Dovrò lavorare anche su questo, ovviamente facendomi seguire da professionisti per limitare gli infortuni e velocizzare il processo. Questo anche a beneficio della continuità negli allenamenti, che in questo momento sono particolarmente necessari.

AREA PSICOLOGICA
Come abbiamo visto, questa sezione ha un forte legame con quella precedente. Dal punto di vista psicologico sono comunque molto soddisfatto.
La mia situazione atletica e le performance migliorano di continuo. Questo lo vedo in tempo reale sul percorso, lo sento attraverso le sensazioni che migliorano quasi ad ogni allenamento e i dati che analizzo mi danno morale e indicazioni sul fatto che forse sono ancora sano di mente ad aver accettato questa sfida.
In più l’attività fisica aerobica mi regala un profondo senso di benessere e mi abitua fisicamente ad avere più resistenza. A 40 anni si sente anche quella necessità. Le ricadute psicologiche su questo sono enormi.
Ora capisco tutti quei conoscenti che intorno ai 40 hanno deciso di buttarsi nel podismo come degli invasati. Si scherza…

Quello che però denoto dal punto di vista psicologico, e che ritengo vada nella direzione giusta, è l’approccio nei confronti della professionalità altrui e degli infortuni.
Sto affinando la mia capacità di autodisciplina. Sto imparando ad attendere con serenità la fine degli infortuni, ad analizzare con calma le situazioni in allenamento e a dare fiducia alle persone che mi seguono in questo progetto. Li ascolto e seguo alla lettera quello che mi dicono. Senza forzare.
Questo per me è un enorme risultato. Ho sempre avuto un approccio ipercompetitivo e aggressivo. Tutto rabbia, tecnica e muscoli. Ora mi ascolto di più. Valuto. Chiedo. Mi informo (non su wikipedia ma rivolgendomi a professionisti veri) e costruisco ogni giorno il mio pacchetto competitivo. Un tassello dopo l’altro, metto sul percorso il meglio che posso dare in quel momento in tutti i settori tecnici e umani che compongono la performance.
Lo chiamo “pacchetto competitivo EM314”.

La disciplina e la maturità forgiano la mia serenità e fanno risparmiare energie mentali che butto in modo aggressivo sul percorso nel giro successivo. Molto del mio continuo miglioramento è frutto di questo approccio analitico e riflessivo. Non è un caso che i samurai, grazie alla loro disciplina, siano state le macchine umane da guerra più evolute per secoli.

RAPPORTI CON I MEDIA
I giornali continuano a parlare di EM314 e la visibilità verso questo progetto cresce. Ormai abbiamo abbondantemente superato i 100 articoli di stampa in rassegna con più di 40 testate (generaliste e di settore) che ci hanno dedicato attenzione. Ritengo che i numeri siano importanti e di assoluto valore.
Ricordo ancora il lancio del comunicato stampa che annunciava il mio ritorno. Ero molto emozionato. Sembra sia passata una vita, eppure è successo tutto tre mesi e mezzo fa. 100 articoli in così poco tempo è un risultato notevole.
Sono grato nei confronti di coloro che amplificano l’importanza di EM314 attraverso gli organi di stampa. Sento la responabilità di rappresentare positivamente il progetto e i partner ogni singolo giorno.
La mia partecipazione, anche come “Global Ambassador”, per la campagna globale sull’inquinamento luminoso MISSION DARK SKY, ritengo sia un altro segno tangibile dell’importanza dello sport nella divulgazione di messaggi positivi verso il pubblico.

CONCLUSIONI – SICUREZZA STRADALE
Prima di concludere questo articolo, che per chi è interessato alla ripresa di un’attività fisica vuole solo essere un fattore di condivisione delle mie esperienze, desidero fare qualche riflessione su una questione che mi sta molto a cuore, perché riguarda chiunque occupi dello spazio sulla strada. Mi riferisco alla sicurezza stradale.
Mentre scrivo queste righe, l’Italia è quasi del tutto paralizzata dalle ordinanze legate al fenomeno del Coronavirus. Farà riflettere pensare che sulle strade della civilissima Italia muore un ciclista in media ogni 30 ore.
Il tasso di mortalità è più alto tra i ciclisti investiti che negli ospedali per il virus di cui sopra. Rimane difficile comprendere come non vengano presi, dal punto di vista legislativo, provvedimenti per un fenomeno che visto dal punto di vista dei numeri – e dei familiari delle vittime – può solo essere chiamato in un modo: STRAGE.

Da uomo di comunicazione e divulgatore scientifico, nelle ultime ore ho dovuto apprendere, con un certo sconcerto, che le stragi non hanno lo stesso appeal agli occhi dei media e del governo delle ondate influenzali.
Tra piste ciclabili trasformate in luoghi di passeggio per cani lasciati liberi o tenuti al guinzaglio con l’occupazione trasversale e totale della sede stradale, e automobilisti impegnati in comunicazioni via WhatsApp con l’amante, ho avuto modo di verificare personalmente la pericolosità del fenomeno.

Per buona parte di questo articolo ho parlato di infortuni e delle ricadute fisiche e psicologiche di questi.
La verità però, è che ogni volta che mi preparo per andare ad allenarmi, le preoccupazioni per gli infortuni scompaiono di fronte alla paura di non tornare.
Si, non ho difficoltà a dirlo: HO PAURA.
So che NON è una cosa “che può succedere solo agli altri” e che pedalare a destra non basta quando si ha la sfortuna di stare davanti al veicolo di un automobilista distratto o che percepisce di essere il centro dell’universo e di avere fretta per andare a comprare il giornale.

Ma più di tutto fa paura l’idea di morire solo. Sull’asfalto. Abbandonato da quelle istituzioni che fermano un Paese per un virus con numeri RIDICOLI rispetto ad una strage che si ripete quotidianamente. Lontano dalle prime pagine e dai titoli allarmistici.

Nelle scorse ore Letizia Paternoster, investita qualche mese fa, ha vinto una meravigliosa medaglia d’argento ai campionati mondiali su pista. Ora tutti a festeggiare (io per primo), anche nelle istituzioni sportive e politiche. Ma quella medaglia avrebbe potuto non esserci più!
Intanto grazie Letizia per questa ennesima soddisfazione. Felice che tu ci sia ancora.

Come atleta aderisco alla Campagna “Io rispetto il ciclista”, che ho conosciuto grazie alla mia instancabile amica Paola Gianotti. Tuttavia sto valutando di dare il mio contributo in modo più concreto per arrivare ad una soluzione legislativa che possa far aumentare le probabilità di un mio ritorno a casa.
Perché non si scriva un giorno, di me e di nessun altro, che “voleva solo fare un giro in bici”. Perché è giusto comprendere che, parafrasando una canzone di Umberto Tozzi, in questo caso, come in molti altri, “Gli altri siamo noi”.

Emmanuele Macaluso – EM314